amore e trasloco
By silvia on
Tra qualche giorno lasceremo la casa in collina. Ci siamo trasferiti lì due anni fa, anche se a te non è mai piaciuta veramente: troppo lontana dalla città, troppo isolata. E lontana lo è davvero, in effetti. Proprio in cima a una collina da cui la mattina presto si vede il cielo rigato di rosa e celeste e Firenze che si sveglia, e la notte una miriade di lucine gialle e tremolanti. Mi sembra di vederla tutta da lassù, la città che è casa, mi sembra di sentirne il respiro, le storie, mi sembra di poterla proteggere con i palmi delle mani tanto sembra piccina.
Mi è bastato percorrere la strada che taglia il bosco per arrivarci, vedere la vite americana con le prime foglie aranciate arrampicata su un muretto a secco, i filari di ulivi tutti in fila come se qualcuno da lassù li avesse tracciati con il righello: “uno qui, uno lì”, immaginare le stagioni che tingono la natura e sorprendono gli occhi, per innamorarmene perdutamente. “In questo posto io rinasco”. Ti ho detto proprio così. E quando ami qualcuno una frase del genere non può lasciarti indifferente.
Amare è anche questo: detestare la campagna, e trasferircisi con il sorriso (facciamo mezzo sorriso, dai) per lasciarti il tempo di fiorire, di scrivere. “Perché quando sei qui sei irraggiungibile”. È il suo modo per dire che sono felice.
Ricordo la prima domenica mattina a leggere in giardino, con il sole di settembre a scaldarmi la schiena. Il primo dolce preparato nel nuovo forno (per me un posto diventa casa quando il forno è acceso e la cucina profuma di torta), anzi erano due: una crostata all’albicocca per te; una alla nutella per me. E poi scoprire che a te piaceva più la mia, e a me la tua.
L’amore è anche questo: ritrovarsi mescolati. Impastati, l’uno nelle abitudini dell’altro. È sapere che le tue abitudini più le mie diventano nostre.
Sai come sono fatta, è ancora agosto e io penso che si avvicina il Natale. A novembre già stavamo scegliendo la ghirlanda innevata per il portone a vetri, ricordi?
Quanto era bello aprire la porta di casa, il tepore dei termosifoni accesi, spegnere la luce e vedere il soggiorno illuminato da piccolissime lucine e sentirci fortunati, e sentirci nostri. Cucinare i biscotti alla cannella con la divisa da chef, addormentarsi con le luci intermittenti dell’albero a cullare le nostre notti.
Nella casa in collina ho scoperto quanto il buio possa essere buio, senza i lampioni a puntellare le strade; ho scoperto che “manto di stelle” in alcuni posti non è una metafora; ho scoperto che, se lo ascolti bene, il vento che soffia tra gli alberi fa un suono simile a quello del mare.
Ti ricordi quando mi hai svegliata poco prima che facesse giorno per vedere l’alba dal giardino? Avevi disposto un vassoio sulla siepe: due tazzine di caffè e due pezzi di ciambella. Ti ricordi le piantine di pomodori e le rose che abbiamo piantato? Ti ricordi i mesi in cui la casa in collina si è trasformata nel nostro rifugio, anche dalla pandemia, anche dalla tristezza, anche dalla paura?
Sono solo due anni, eppure sembra passata una vita.
Da quando, a passi incerti, entrambi gelosi delle nostre abitudini, della nostra solitudine, della nostra vita da soli, abbiamo deciso che valeva la pena condividerne almeno un po’ con l’altro. Che valeva la pena tentare.
Torniamo in città, in centro. In una casa più comoda, perché vicina al tuo ufficio e alla mia boutique, poco distante dalla mia facoltà: tutta bianca, tutta luce.
Come gli inizi, come un foglio.
Qui rinasci tu, lo so per certa. Non me lo hai detto, ma lo leggo nei tuoi occhi stanchi, gli occhi di chi si sta occupando di tutto (idraulico, allacci vari), pur di non turbare questo momento così importante e per il quale ho dato il cuore e il fiato che per me si chiama “boutique”.
Adesso è il mio turno.
L’amore è anche questo.
È cambiare, insieme. E darsi il cambio, come alla guida, come in viaggio. Perché in fondo è un viaggio pure amare.
Ho amato la nostra casa in collina. Ma le persone contano di più, tu conti di più. Noi contiamo di più. Allora cambiamo, ancora: in questi mesi in cui ho fatto la rivoluzione – lavoro, ritmi, abitudini da inventare – mi sono detta che posso farlo. Ed è una delle più grandi libertà: avere paura, ma essere disposti a cambiare.
A rinunciare alla perfezione, come canta Niccolò Fabi.
A ricalcolare, come il navigatore. A fare mille giri, prima di arrivare a destinazione.
Pensavo di aver bisogno di un posto nel verde in cui rifugiarmi, leggere, scrivere, creare. Pensavo di aver bisogno di spazio in cui disporre le idee, e i libri. Di un giardino da curare. Di prendere ispirazione dalla natura. E invece ho trovato il mio centro in tre stanzine dipinte di rosa nel cuore della città. Anche se non ho nemmeno il tempo per cambiare l’acqua ai fiori, e per molte altre cose più importanti.
Se abbiamo imparato qualcosa da quello che tutti noi abbiamo vissuto (e stiamo ancora vivendo) in questo anno è che se hai un sogno non devi perdere nemmeno un minuto. Devi correre a realizzarlo. Anche se dovrai cambiare, e ricambiare. E ricalcolare il percorso.
È questa la rivoluzione più grande, questa è la tua stella. Non ti resta che seguirla.
Ti abbraccio,